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Auro Palomba: “I Fondi reggono all’effetto Golfo”

Auro Palomba, Gennaio in “rosso” ma aumentano le sottoscrizioni

Un finale di mese con molte sottoscrizioni e pochi riscatti ha permesso ai Fondi d’investimento italiani di chiudere il mese di gennaio con un bilancio soddisfacente. La raccolta netta è infatti negativa per soli 22 miliardi, dopo che nei primi giorni dell’anno si era temuto un vero e proprio tracollo. Era da sette mesi che il saldo mensile non veniva preceduto dal segno meno, ma sia dal tenore della nota diramata dall’Assogestione, sia dalle parole del segretario generale Guido Cammarano, si intuisce la sensazione dello scampato pericolo. E le componenti del saldo certificano l’anomalia del mese che si è appena chiuso: in gennaio i riscatti sono infatti saliti a 1.361 miliardi dai 957 di dicembre ’90. Le nuove sottoscrizioni sono anch’esse aumentate da 1.106 a 1.339 miliardi. “Bisogna tener conto che in gennaio, febbraio e marzo vi sono anche i reinvestimenti automatici – spiega Cammarano – ma è indubbio che il dato delle sottoscrizioni sia beneaugurante”. La nota dolente, ancora una volta, viene dal comparto dei Fondi azionari, che hanno chiuso il mese con un passivo di 205 miliardi. Sono scese in particolare le nuove sottoscrizioni. “In periodi di incertezza come quello attuale – prosegue Cammarano – la gente si rivolge agli investimenti di breve periodo, come i titoli di Stato. Le azioni dunque perdono, e vengono privilegiati anche tra i fondi gli strumenti che investono maggiormente nel reddito fisso”. Bene infatti sono andati i Fondi obbligazionari, che hanno chiuso gennaio con una raccolta netta positiva per 428 miliardi contro i 284 del dicembre scorso. Male invece i bilanciati e i cosiddetti “lussemburghesi”, che hanno un saldo in rosso per 1.339 miliardi. Questi strumenti sono quelli che hanno avuto performance migliori negli ultimi anni, e dunque sono stati liquidati dai risparmiatori che hanno comunque portato a casa un attivo. Anche secondo Francesco Taranto, presidente della Primegest e vice presidente dell’Assogestioni, “il bilancio di gennaio è tutto sommato soddisfacente. L’aumento delle nuove sottoscrizioni dimostra la maturità dei risparmiatori. In questo momento d’altronde non avrebbe senso vendere, perché i prezzi sono ai minimi”. E un discorso analogo viene fatto per gli operatori di Borsa per spiegare il piccolo boom di questi giorni. Ieri l’indice Mib ha chiuso in rialzo dell’1,96% a 990 punti una giornata contraddistinta da un netto aumento delle contrattazioni e da prezzi in forte crescita soprattutto nel finale. Esplosione in particolare per i titoli guida, cercati finalmente anche da investitori esteri. Risultati particolarmente favolevoli per le Cir del gruppo De Benedetti, che ha guadagnato il 6,48% con le ordinarie, mentre le risparmio sono state in un primo tempo rinviate per eccesso di rialzo per poi chiudere con un processo analogo a quello delle ordinarie. In Borsa si dà infatti credito alla trattativa in corso fra Cerus e Suez per la vendita del restante 9,96% di Sgb in portafoglio della holding francese dell’ingegnere, che librerebbe il gruppo di De Benedetti da una partecipazione bloccata ormai da tre anni. La liquidità che ne deriverebbe, sommata a quella eventualmente ottenuta dalla spartizione della Mondadori, dicono in Borsa, darebbe la possibilità all’ingegnere di giocare nuovamente un nuovo attivo sullo scenario finanzario italiano. Forti rialzi anche per le Montedison (+4,07%), le Sip (+3,3%), Mediobanca (+2%), e Fiat (+2,5%). Bene anche le Pirellone, all’indomani della “lettera agli azionisti” con cui Leopoldo Pirelli ha rilanciato la sfida per la Continental. In Borsa si respira aria di speranza, che si basa principalmente sul livello bassissimo dei prezzi, definiti dai più “incomprimibili”, anche se nessuno si nasconde che i problemi sono ancora molti, e che nulla è cambiato negli ultimi giorno. Secondo gli operatori la questione più importante da dirimere riguarda sempre la tassazione delle plusvalenze azionarie, su cui verterà il referendum indetto per domani dall’Associazione nazionale dei procuratori degli agenti di cambio. Secondo Francesco Taranto, “sono stati i tre decreti Formica a bloccare il mercato anche più della crisi del Golfo. Dallo scorso 29 settembre, infatti, le altre principali Borse sono salite in m3edia del 10%, mentre Milano è scesa del 10%. Questa forbice è anomale, e testimonia che non è la guerra del Golfo Persico la principale causa della caduta dei prezzi a Piazza Affari”.

FONTE: Il Messaggero
AUTORE: Auro Palomba

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